Giornata Mondiale contro l’hate speech: rispondere all’odio con l’educazione

18 giugno 2025 5 minuti
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Ogni anno a partire dal 2022, il 18 giugno la Giornata Mondiale contro l’hate speech ci ricorda quanto le parole abbiano il potere di trasformarsi in uno strumento offensivo e nocivo. In un mondo sempre più interconnesso, dove i confini tra realtà e digitale si fanno sfumati, è facile comprendere quanto sia urgente costruire una cultura dell’inclusione e del rispetto, portando avanti la lotta contro il discorso d’odio anche — e soprattutto — attraverso la scuola.

 

 

Che cos’è l’hate speech?

 

Traducibile come “discorso d’odio”, non esiste una definizione universalmente riconosciuta del concetto di hate speech. Le Nazioni Unite suggeriscono di definire come tale qualsiasi forma di comunicazione — orale, scritta o visiva — che attacca o discrimina una persona o un gruppo sulla base di caratteristiche identitarie, come religione, origine etnica, genere o orientamento sessuale. Le parole d’odio possono essere pronunciate con leggerezza e ingenuità, costituendo in realtà l’anticamera di discriminazioni più profonde e atti violenti.


Il discorso d’odio è spesso alimentato da pregiudizi, stereotipi e disinformazione, e trova un’eco potenziata nel mondo digitale, dove messaggi virali, meme e commenti hanno la capacità di diffondersi in pochi secondi. È in questo contesto che diventa urgente un’azione educativa strutturata.

 

 

Il potere performativo del linguaggio

 

Ma le parole d’odio possono essere davvero così dannose? La risposta diventa evidente se pensiamo che il linguaggio non si limita a rappresentare la realtà: la modella, la struttura, la rende possibile. Dire è agire, e parlare non è mai un atto neutro. Questa è l’intuizione di fondo della filosofia del linguaggio contemporanea, che ha mostrato come gli enunciati siano dotati di potere performativo, ossia della capacità di produrre effetti concreti nel mondo, anche quando non ce ne rendiamo conto.


Nel caso dell’hate speech, le parole non esprimono semplicemente un’opinione offensiva, ma contribuiscono a creare e rafforzare gerarchie sociali, stereotipi, esclusioni. Il libro Hate Speech. Il lato oscuro del linguaggio, aiuta a comprendere come le espressioni d’odio agiscano nel linguaggio comune con una forza che può ferire, marginalizzare, disumanizzare. In contesti già segnati da diseguaglianze, le parole possono diventare atti di dominio che confermano lo status quo o lo aggravano. Al contrario, scegliere di usare parole rispettose, inclusive, attente alla dignità dell’altro non corrisponde ad un mero atto di “buonismo”: si tratta di un gesto profondamente politico e trasformativo.

 

 

L’impegno dell’ONU e dell’UNESCO

 

Nel 2019, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha lanciato la Strategia e Piano d’Azione contro l’Hate Speech, un quadro operativo che mira a contrastare il fenomeno attraverso la prevenzione, la promozione dei diritti umani e — in modo centrale — l’educazione.


L’UNESCO sottolinea il ruolo della scuola non solo come luogo di trasmissione del sapere, ma come spazio di costruzione della cittadinanza globale, in cui sviluppare empatia, pensiero critico e rispetto per le differenze. Un’educazione capace di prevenire l’odio richiede l’integrazione di tre dimensioni: cognitiva, socio-emotiva e comportamentale.

 

 

 

Educazione e cittadinanza digitale

 

Oggi non basta più educare alla cittadinanza: bisogna anche educare alla cittadinanza digitale. In rete, l’hate speech assume forme nuove e si diffonde con dinamiche diverse rispetto ai contesti offline. I social network possono diventare ambienti tossici e polarizzanti, ma anche spazi di consapevolezza e attivismo positivo. La differenza sta nell’utilizzo di tali strumenti e nelle competenze che si hanno per affrontarli con rispetto e consapevolezza.


È qui che interviene l’alfabetizzazione ai media e all’informazione (Media and Information Literacy - MIL), promossa dall’UNESCO: un insieme di competenze che aiutano studenti e studentesse ad analizzare criticamente i contenuti, riconoscere le fonti affidabili, identificare le fake news e rispondere in modo costruttivo ai messaggi d’odio. MIL significa, in sintesi, trasformare utenti passivi in cittadini digitali attivi e consapevoli.

 

 

 

Il ruolo degli insegnanti

 

Uno dei punti chiave evidenziati dal documento UNESCO è la formazione dei docenti. Non si tratta solo di conoscere le definizioni legali di hate speech, ma di saper affrontare questi temi in aula con equilibrio, competenza e apertura. Insegnare il rispetto dei diritti umani, promuovere il dialogo tra le diversità, creare ambienti scolastici sicuri per qualsiasi individuo: sono questi gli obiettivi di una scuola che educa alla pace e al rispetto.

 

 

 

Dalla parte dei giovani

 

I giovani sono i principali protagonisti del cambiamento. L’UNESCO invita a valorizzare il loro ruolo attivo attraverso progetti partecipativi, campagne social e iniziative artistiche. Come dimostra il programma MIL CLICKS, che coinvolge ragazze e ragazzi in tutto il mondo nella creazione di contenuti positivi, contro le narrazioni d’odio.


Promuovere la social-emotional learning (SEL), ovvero l’educazione socio-emotiva, improntata allo sviluppo dell’empatia e della capacità gestione dei conflitti, è fondamentale per prevenire le derive violente. Non si può contrastare l’odio solo con la logica: serve anche una cultura della relazione e dell’ascolto.

 

 

 

E la libertà di espressione?

 

Difendere la libertà di espressione non significa tollerare l’odio. È un equilibrio delicato ma possibile, fondato sul rispetto reciproco e sui diritti umani. L’ONU chiarisce che la libertà di opinione è un diritto fondamentale, ma non è assoluto: i suoi limiti terminano quando incita alla violenza, alla discriminazione o all’odio. L’educazione deve aiutare a distinguere tra critica legittima e incitamento all’odio, promuovendo un uso della parola che sia responsabile, aperto e costruttivo. Proteggere la libertà di espressione è fondamentale e significa anche garantire che nessuno venga messo a tacere con l’intimidazione o l’odio.


Il documento UNESCO sottolinea la necessità di proteggere la libertà d’espressione dei docenti, garantendo però una preparazione adeguata per gestire opinioni controverse, promuovere il pluralismo e rispondere con fermezza ai messaggi discriminatori.

 

 

 

Una sfida condivisa

 

Contrastare l’hate speech, tuttavia, non può essere solo responsabilità della scuola. Serve un impegno intersettoriale, che coinvolga famiglie, media, piattaforme digitali, enti pubblici e organizzazioni della società civile. L’UNESCO propone un approccio multi-stakeholder, ossia di dialogo e collaborazione tra le diverse parti interessate: solo agendo insieme si può costruire un ecosistema educativo in grado di proteggere i soggetti più vulnerabili e promuovere la dignità umana.


L’educazione è la prima linea nella prevenzione dell’odio. Ma perché sia davvero efficace, deve essere accessibile, inclusiva e aggiornata alle sfide del presente. In un mondo in cui le certezze vacillano e i confini dell’identità si fanno più complessi, educare contro l’odio significa soprattutto educare alla comprensione.

 

 

 

Conclusione

 

La Giornata Mondiale contro l’Hate Speech non è solo un momento simbolico. È un’occasione per interrogarsi sul ruolo che ogni singolo assume nella costruzione di una società più giusta. Per il mondo della scuola, è un invito quotidiano ad agire, trasformando l’aula in uno spazio di confronto, formando generazioni capaci di distinguere la critica dall’intolleranza, il dissenso dall’odio. Perché le parole contano.


La scuola ha quindi una responsabilità cruciale: insegnare a decodificare il linguaggio, a riconoscerne la potenza creativa e la responsabilità etica che richiede, far comprendere che le parole possono fare male, ma possono anche curare. Possono dividere, ma anche costruire legami. Educare all’uso consapevole del linguaggio significa dare strumenti per abitare il mondo in modo più giusto.

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