Intelligenza emotiva: cos'è e come coltivarla negli studenti

07 giugno 2021 5 minuti
DIDATTICA INNOVATIVA

Ne ha parlato il World Economic Forum inserendola fra le dieci prime competenze richieste in un colloquio di lavoro e sostenuta da imprenditori e recruiter, l’intelligenza emotiva sta diventando sempre più rilevante nel mondo del business. Alcune statistiche, infatti, dimostrano quanto sia rilevante quando si svolgono lavori di gruppo o per fare carriera in ambienti professionali produttivi e sani: ma perché tutti ne parlano e quali sono le caratteristiche?

 

L’intelligenza emotiva, secondo la psicologia, è la "capacità di una persona di distinguere, riconoscere, gestire e ben definire le emozioni proprie e quelle delle persone che lo circondano". Storicamente, il termine deriva dall’inglese, che lo traduce con Emotional Intelligence, spesso semplificato con la sigla EI e IE.

 

I primi a parlarne furono Mayer e Salovey che ne introdussero la teoria nel 1990 e successivamente Goleman, che pubblicò la sua opera "intelligenza emotiva" nel 1995 estendendo il significato del termine e riconducendolo ad altri sentimenti come l’entusiasmo, l’autocontrollo e la costanza. Aspetti caratteriali che dovrebbero essere impressi fin da bambini per consentire ai più giovani di maturare abilità e talenti già presenti nella loro genetica. Secondo Goleman, infatti, Madre Natura ci dota alla nascita di diversi talenti, che vanno estrapolati gradualmente con l’aiuto della famiglia, che deve diventare, per questo, modello virtuoso. Questo significa che i figli di genitori che sanno gestire le loro emozioni, incanalando il rapporto di coppia in modo equilibrato e sano, sono più sani ed emotivamente più equilibrati di chi, invece, ha vissuto una vita familiare turbolenta. Imparando a controllare i propri istinti e le proprie emozioni, infatti, si riescono a tollerare bene anche i momenti di stress e a trasmettere le emozioni in modo benefico, sviluppando relazioni serene con amici, familiari e colleghi.

 

L’intelligenza emotiva a scuola: luogo di crescita e sviluppo

 

La domanda che molti psicologi e tecnici del settore si sono chiesti è se la scuola può favorire lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e in caso affermativo, quali strumenti può utilizzare per favorirne l’implementazione. Secondo uno studio del dottor Rogers eseguito nel 1978, l’apprendimento viene amplificato quando si svolge in un ambiente favorevole allo sviluppo del singolo, perché viene coinvolta l’intera persona fatta di intelletto, passioni e sentimenti. Come affermerà Galimberti nel 2001, non può esistere apprendimento senza una gratificazione di tipo emotivo che diventa la svolta contro l’analfabetismo emozionale. La soluzione, su questa strada, risiede nell’introduzione di un programma formativo emozionale che faccia emergere, tra l’altro, problematiche familiari, traumi latenti e disagi interiori che impediscono la crescita serena dell’alunno, soprattutto nella fase dell’adolescenza.

 

Sappiamo bene che il ruolo della scuola è anche quello di favorire l’integrazione di ogni giovane nel gruppo e per farlo, è necessario monitorare atteggiamenti disfunzionale che possono riguardare la disattenzione, la scarsa partecipazione, un rapporto negativo con i compagni, atteggiamenti di disturbo e rifiuto, diffidenza, indifferenza e assenza di spirito critico. Attitudini che impediscono al giovane di interagire in modo adeguato con la classe apprendendo poco e male, pur adoperando le proprie capacità cognitive.

 

Quando si soffre psicologicamente, infatti, si vivono situazioni di stress che influenzano il rendimento scolastico sviluppando atteggiamenti di insicurezza, angoscia, incapacità di comunicare fino al ricorso di sostanze psico-attive dannose. Uno stato di fatto che secondo uno studio elaborato da Turchi e Baraldi nel 1990, può sfociare in un deficit dell’attenzione, nel bullismo o nell’iperattività, che creano atteggiamenti di rifiuto totale della scuola, indebolendo il ruolo degli insegnanti e dei genitori, che in tal modo hanno poco margine di intervento.

 

Ripercorrendo le teorie di Goleman espresse nel suo "Intelligenza emotiva", è importante analizzare le esperienze di quegli istituti scolastici che hanno già sperimentato percorsi didattici ad hoc e leggendo il suo libro ci si imbatte nella storia di un istituto negli USA, a San Francisco, dove una classe di quinta elementare, composta da 15 alunni, viene sottoposta al progetto di alfabetizzazione emotiva. Tale progetto richiedeva ai docenti e agli alunni di concentrarsi sull’aspetto emozionale, utilizzando i traumi e le tensioni vissuti dai bambini come argomento del giorno: dai contrasti tra amici di classe all’invidia, dal disagio di essere esclusi ai litigi. Il fine è quello di parlare dei propri malesseri per imparare a gestire i sentimenti e le cinque aree: autocontrollo, consapevolezza di se, motivazione, abilità sociali ed empatia. Un esperimento che diventa un punto di partenza per molti insegnanti che possono adottare lo stesso metodo nella loro classe per sviluppare competenze trasversali e insegnare oltre la didattica. Se, infatti, il compito principale è quello dei genitori nel loro percorso educativo non possiamo trascurare che tanti alunni non hanno famiglie presenti alle loro spalle e talvolta il modello educativo proposto è negativo, superficiale e tende a isolare. La proposta degli insegnanti, in contesti simili, può davvero fare la differenza nel minore e cambiare il suo futuro.

 

Parlare, dunque, è la soluzione: favorire un clima di apertura senza giudizio e di comprensione indipendentemente dal punto di vista. Ascoltare le difficoltà dello studente aiutandolo a incanalare le sue emozioni nella giusta direzione.

 

Intelligenza emotiva: le cinque aree da sviluppare a scuola

 

Secondo questo filone della psicologia, in ogni persona esistono 5 diverse aree, che quando sono ben canalizzate, sviluppano l’intelligenza emotiva:

 

Autocontrollo: imparare a gestire sentimenti ed emozioni per semplificare il compito che si sta svolgendo, impedendo loro di prendere il sopravvento e di interferire, ciò significa anche imparare ad affrontare sofferenza, rabbia e delusione senza lasciarsi vincere dalle emozioni negative;

Consapevolezza di se stessi: conoscersi per scegliere bene il proprio futuro, avere una coscienza equa di se stessi e delle proprie possibilità per dirigere i passi verso obiettivi realistici che non sviliscono né mortificano;

Motivazione: sfruttare le proprie propensioni per raggiungere gli obiettivi prefissati nonostante i fallimenti e i momenti di incostanza, saper prendere l’iniziativa senza aver paura di insuccessi e cadute;

Abilità sociali: imparare a stare con gli altri per lavorare con loro, interagendo in un rapporto consapevole che non mira a prevalere, prevaricare e neanche sottomettersi ma semplicemente a collaborare. In questo modo, infatti, si impara a risolvere i conflitti e dirimere controversie leggendo le situazioni nel modo giusto;

Empatia: percepire il mondo altrui fatto di sentimenti, sensazioni e dolori guardando dal loro punto di vista per sviluppare sintonia emotiva e fiducia

 

Tra tutte, l’autoconsapevolezza è probabilmente l’area sulla quale gli insegnanti dovranno lavorare di più perché è quella che nel futuro dà più frutti, secondo Goleman, gettando le basi ai comportamenti dell’uomo. Solo facendo delle emozioni una vera e propria disciplina da insegnare si possono ottenere risultati visibili, sia sui bambini che sugli adolescenti delle scuole superiori, perché in fondo siamo tutti desiderosi di migliorare, imparare a stare con gli altri, creare legami duraturi e non relazioni superficiali. Sarebbe auspicabile, in questo contesto, l’inserimento all’interno della scuola dei punti di sostegno e consulenza, per aiutarli ad affrontare i momenti di disagio e squilibrio evitando, talvolta, gesti estremi per mancanza di aiuto. Oggi più che mai, infatti, i giovani sono fragili e necessitano di una rete di aiuti che li sostenga nel percorso di crescita, per diventare adulti consapevoli del loro valore, coscienti delle possibilità e sempre vigili sulla loro vita. Come sostenuto anche da Mariani, nelle sue recenti tesi del 2003, questo tipo di aiuto diventa essenziale durante la fase dell’adolescenza, che è contraddistinta da tratti emozionali intensi che vanno dalla sofferenza all’autolesionismo, ai deliri di onnipotenza che sfociano nel bullismo ai sentimenti di sfiducia, inadeguatezza e smarrimento che li rendono deboli e vulnerabili.

 

In tutti questi casi, è molto importante agire nella prevenzione per garantire la costruzione di rapporti solidi e profondi con gli interlocutori, per abituarli a condividere i loro stati d’animo, le emozioni e i sentimenti, insegnando loro ad analizzarli per razionalizzarli ed evitare che prendano il sopravvento.

 

Si tratta di guardare tali giovani con occhio libero da pregiudizi di tipo culturale, con un’apertura del cuore e della mente che miri a comprenderli per diventare un’alternativa ai loro motivi di chiusura e di rabbia. Basti pensare che un ragazzo che oggi è arrabbiato domani sarà un uomo ostile e solitario che faticherà a stare in mezzo agli altri.